Entrando in un edificio, in un museo, diventa importante il rapporto tra l’uomo e l’edificio
stesso; lo spazio non è più visto come una cosa, ma è il movimento che diventa il protagonista.
Il problema del "non vedente in un museo" è recente; lo denota la mancanza totale, in alcuni casi,
di sistemi ausiliari.
Già durante l’Impero Romano il non vedente era considerato come un emarginato, tanto che la sua
sorte era quella di venir gettato da una rupe; la mancanza della vista era, ed è, compensata da
altre doti quali la memoria e gli altri sensi più sviluppati; da ciò infatti nelle civiltà arcaiche
il cieco era reputato come persona capace di fornire validi aiuti alla comunità; nel medioevo si
andò via via sentendo maggiormente il problema, e l’assistenza religiosa suppliva il mancato aiuto
da parte dello Stato. Con l’Illuminismo il non vedente divenne oggetto di studi scientifici, di
spiegazioni razionali. Sconvolgente fu poi la risposta degli Stati Uniti degli anni 1923/24 al
problema "disabile": tutti i disabili venivano sterilizzati. Solo dagli anni ’60 e ’70 con il
recupero legislativo, la nascita del concetto di "Barriera Architettonica", e nel ’92 con la legge
Quadro 104 al "Diritto alla Cittadinanza", il disabile "entra in società".
Con il Decreto Ministeriale 236 del giugno del 1989, l’handicap sensoriale diventa oggetto di
attenzione, ritenendo fondamentali i concetti quali l’Accessibilità , la Visitabilità e
l’ Adattabilità del museo.
Per il non vedente, quindi, è fondamentale un’ accurata preparazione preliminare alla visita del
museo; questa può prendere diversi significati a seconda dello scopo della visita, per studio, per
turismo, perciò è fondamentale avere un’accurata attenzione alla preparazione, sapere dove ci si
trova, come è disposto il percorso, sapere che tipo di museo sia e cosa si andrà a "vedere".
La cosa fondamentale è la presenza di una persona qualificata e soprattutto preparata che guidi il
non vedente durante la visita, che sia attenta alle parole da usare durante la spiegazione.
Non si deve comunque pensare che i ciechi siano tutti uguali, e l’approccio all’arte è perciò
"personalizzato" , per un bambino ovviamente sarà diverso che per un adulto; avranno infatti modi
e sensazioni completamente opposte.
Noi sentiamo, vediamo, tocchiamo, gustiamo, per naturale dote; per il cieco, invece, l’usare i
restanti 4 sensi in modo migliore è frutto di un costante e complesso lavoro.
Il museo ha un contesto, ha un contorno formato da persone, per cui ci deve essere la possibilità
di fruizioni diverse ma comuni; ci devono essere gli stessi percorsi.
Il museo deve dare la possibilità ad un cieco di essere visitato "da solo"; certo, toglie il
piacere della condivisione, ma lascia trovare tutto il tempo necessario alla visita.
Attraverso il tatto infatti, percepiamo quelle caratteristiche di consistenza, di temperatura, di
gradevolezza della superficie a cui sono legate specifiche e personali sensazioni.
All’interno dei musei, soprattutto di fronte alle opere d’arte, siamo costretti a reprimere questo
istinto, sforzandoci di cogliere con la vista, tutte quelle sfumature riflesse e superfici di
diversi materiali. Il tatto possiede un campo percettivo molto ridotto, perciò procede per
successione di frammenti spaziali, ma presenta una analisi molto puntuale e precisa; al contrario
dell’udito, ad esempio, che possiede un campo molto più esteso di percezione, ma poca capacità di
"rilevare" gli oggetti.
"L’architettura è uno stimolo al movimento, e gli stili ne plasmano lo spazio; il gotico
proietta verso l’alto e il barocco è ridondante"-Empler-
Il primo stile è fasciato dall’onda sonora, cioè il suono "attraversa" la forma, il secondo,
invece, smorza le vibrazioni. Se in uno spazio conosciuto si toglie un oggetto la sonorità muta;
le persone in un ambiente assorbono i rumori.